Pescara. Il 6 Aprile sarà inaugurata al Circolo Aternino di Piazza Garibaldi la mostra foto-documentaria “I Fiori del Male – Donne in manicomio nel regime fascista”. La mostra (che si terrà sino al 23 Aprile) è organizzata dall’Orchestra femminile del Mediterraneo, nell’ambito della rassegna Musica e Società, e dall’assessorato alla Cultura del Comune di Pescara; ha ottenuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per i Beni e le attività culturali, della Regione Abruzzo. Le fotografie e i documenti al centro del percorso espositivo provengono in larga parte dall’archivio storico del manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo. L’evento è a cura di Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante, promossa dall’Irsifar e realizzata dalla Fondazione Università degli Studi di Teramo, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Teramo e l’Archivio di Stato di Teramo.
La mostra affronta un argomento non semplice.
Figlie, madri, mogli, spose, amanti: donne vissute durante il Ventennio. Ai volti delle ricoverate sono affiancati diari, lettere, relazioni mediche che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile. L’idea è nata dalla volontà di restituire voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca.
Durante il regime fascista si ampliarono infatti i contorni che circoscrivevano i concetti di emarginazione e di devianza, e i manicomi finirono con l’accentuare la loro dimensione di controllo e di repressione; tra le maglie delle istituzioni totali rimasero imbrigliate anche quelle donne che non seppero esprimere personalità adeguate agli stereotipi culturali del regime o non assolsero i nuovi doveri imposti dalla “Rivoluzione Fascista”.
Ci è sembrato importante – spiegano i curatori della mostra Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante – raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio. Alle immagini sono state affiancate le parole: quelle dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche.
Il manicomio, in questo senso, è stato un osservatorio privilegiato dal quale partire per analizzare i modelli culturali che hanno storicamente contribuito a costruire la devianza femminile e che durante il Ventennio furono ideologicamente piegati alle esigenze del regime. Il lavoro di ricerca e di valorizzazione condotto su questi materiali ha permesso così di recuperare una parte fondamentale della nostra memoria e di restituirla alla collettività.
Il biglietto d’ingresso è gratuito, con libero contributo a favore dell’Angsa (Associazione genitori soggetti autistici).
@AndreaMicalone