Pescara. “Ogni tanto, puntuale, riemerge e si concreta l’antico sogno di una parte dei giuristi. Quello di un diritto asettico, “puro”, che si regga in sé. Che permette di leggere la realtà soltanto servendosi di un registro buono per tutte le stagioni, quello del formalismo giuridico, o “in punta di diritto”, come si dice. Peccato che quando questa propensione incontra la storia, la faccenda si faccia molto più complicata. La storia è complessa e complicata, ponendoci sempre davanti a un impatto fattuale degli atti, a conseguenze pubbliche, e civili, che spesso confliggono con modelli formali teoricamente perfetti”. Lo dice Enzo Fimiani, storico ed ex presidente dell’Anpi di Pescara, a commento della sentenza del tribunale di Chieti che ha accolto il ricorso di un avvocato e ha condannato Facebook a pagare a quest’ultimo un risarcimento danni di 15mila euro. Facebook aveva rimosso dal profilo dell’avvocato una foto di Mussolini in occasione del suo compleanno e una foto della bandiera della Repubblica Sociale Italiana.
Spiega Fimiani all’Ansa: “Se guardiamo alla sentenza in punta di diritto, si è davanti alla sanzione di una mera violazione rispetto a vincoli contrattuali sottoscritti dalle parti (Facebook e il suo privato utilizzatore). Quindi c’entrano poco dimensioni ben più alte che vengono evocate dal ricorrente, come la “libertà di espressione” (qui: libertà totale, senza limite alcuno, di inneggiare alla dittatura fascista, al suo leader, alla Repubblica Sociale e così via, nella sfera pubblica latamente intesa). Eppure, la libertà si connota, ed esiste, proprio in quanto ha limiti. Altrimenti si fa arbitrio”.
Fimiani parla di confusione laddove spiega che “tra un regime totalitario, nel suo autunno divenuto anche di stampo nazifascista, e una democrazia come quella italiana nata dopo il 1945, non v’è alcuna possibilità di compromesso. Si tratta di concezioni del tutto opposte. Può esistere o uno Stato che si richiami all’ordine nazifascista oppure uno Stato che si incardini in assetti democratici (fatta salva un’ovvia, ma fisiologica, “continuità dello Stato” nei meccanismi degli apparati che ne fanno funzionare la macchina). Pertanto, si può – sul piano storico – dire che dal dopoguerra si instaura in Italia una compagine statuale del tutto nuova, nei principi, nelle forme, nelle regole del gioco”.