Pescara. A quattro anni e cinque mesi da quel tragico 14 aprile del 2012, quando il calciatore del Livorno, Piermario Morosini morì sul campo dello stadio Adriatico di Pescara, è arrivata la sentenza di primo grado del giudice del tribunale monocratico di Pescara. Tre gli imputati. Tutti e tre medici, tutti e tre condannati per omicidio colposo. Dopo circa quattro ore di discussione e altre tre di camera di consiglio, il giudice ha condannato a un anno di reclusione, con pena sospesa, il medico del 118 di Pescara Vito Molfese, a otto mesi il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e il medico sociale del Pescara Ernesto Sabatini. Morosini aveva 26 anni quando si è accasciato sul terreno di gioco dello stadio Adriatico di Pescara, al 29′ dell’incontro di serie B tra i padroni di casa e il club toscano. Per la stessa vicenda la Asl di Pescara e la Pescara Calcio, in qualità di responsabili civili, sono stati condannati al pagamento di una provvisionale di 150mila euro, in solido con i tre imputati. Una sentenza arrivata un po’ a sorpresa, dopo che il pm Gennaro Varone aveva chiesto la condanna solo di Molfese a due anni e l’assoluzione per Porcellini e Sabatini “perché il fatto non costituisce reato”. L’autopsia ha stabilito che il decesso fu causato da un arresto cardiaco dovuto ad una cardiomiopatia aritmogena. Secondo il pm ci furono carenze nelle procedure di soccorso, legate in particolar modo al mancato utilizzo del defibrillatore, nonostante se ne contassero due sul terreno di gioco ed un terzo a bordo di un’ ambulanza. Nel corso del dibattimento è stato accertato che quando Morosini si accasciò sul terreno di gioco, il primo ad intervenire fu il medico del Livorno. “Mi accorsi subito che era grave ha raccontato Porcellini e mi precipitati in campo senza attendere il fischio dell’arbitro”. Subito dopo sopraggiunse il medico del Pescara Sabatini e a seguire anche il medico del 118 Molfese. Porcellini praticò un massaggio cardiaco al giocatore, al quale venne applicata anche una cannula per la ventilazione. “Pratiche corrette ha osservato il pm Varone i due medici sportivi hanno fatto quanto potevano sulla base delle proprie competenze”. Diversa la posizione di Molfese, “che essendo il medico con la formazione più adeguata aveva il dovere di intervenire nel modo prescritto dalle linee guida internazionali e che invece, anziché procedere all’utilizzo del defibrillatore, acconsentì allo spostamento sconsiderato di Morosini sulla barella”. Occorrerà attendere i prossimi 90 giorni per conoscere le motivazioni. Le difese si sono concentrate soprattutto sull’ impossibilità di stabilire se l’uso del defibrillatore avrebbe potuto salvare la vita di Morosini, se ci fossero le condizioni perché si potesse utilizzare il defibrillatore, visto che secondo alcuni testimoni il giocatore evidenziava segni vitali, e sulla mancanza di un chiaro protocollo da seguire nei soccorsi in casi simili. “Il nostro ha sottolineato uno dei difensori di Molfese, Ivo Gabriele era un reato omissivo e invece pare che sia stato definito come un reato attivo, e quindi c’e’ bisogno che qualcuno si metta d’accordo”. Giusta la condanna per il super perito, Cristina Basso: “Un medico non si può sottrarre, anche se non c’è una ‘legge’ che obbligava l’intervento. Per questo trovo che la sentenza di condanna dei tre medici sia corretta”. (
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