Farindola. Come dimenticare lo sguardo perso nel vuoto di Fabio Salzetta, scampato alla valanga che ha travolto l’hotel Rigopiano. Lo sguardo di chi sa che sotto quel cumulo di neve e macerie c’è sua sorella Linda e i colleghi del resort. “Mi chiamano eroe, ma gli eroi non hanno paura del buio” confessa Fabio in un’intervista pubblicata su Repubblica. Lui si è salvato per caso: stava trasportando il pellet nel locale caldaie ed è rimasto chiuso dentro mentre l’ ‘assassina silenziosa’ è venuta giù dalla montagna. ‘Non riesco più a stare nei luoghi bui, devo dormire con la luce accesa, a 26 anni’.
‘Eravamo tutti agitati, volevamo andarcene. Era l’effetto del terremoto. Quattro scosse forti. Avevano diffuso il panico infatti gli ospiti si erano messi nelle stanze con i tetti in legno. Volevamo scappare, ma la strada era completamente bloccata dalla neve. Dalle 8 del mattino mi ero messo a spalare nel parcheggio dietro l’hotel, così gli ospiti con i bagagli già fatti erano riusciti a incolonnarsi con le macchine sul vialetto. Erano pronti. Me la ricordo bene quella fila di auto, le facce nervose”. Insomma erano tutti convinti che la turbina sarebbe arrivata a liberarli. ‘Alle due sono rientrato in hotel per mangiare qualcosa. Un’ora dopo i clienti hanno cominciato a riportare dentro i bagagli: si erano rassegnati a stare un giorno in più nel resort. Non potevano sapere che sarebbe diventata la loro tomba”.
“Il direttore ci diceva di far stare calmi gli ospiti” continua Fabio. ‘Era impossibile, anche perché noi eravamo più nervosi di loro. Gabriele D’Angelo, il cameriere, aveva finito il turno e lì dentro non ci voleva rimanere, come se sentisse qualcosa. Ha chiesto ad Alessandro Giancaterino, un mio collega, di chiamare la prefettura”. Proprio D’Angelo e Giancaterino, insieme al senegalese Faye Dame, hanno accompagnato Salzetta a trasportare i sacchi di pellet nel locale caldaia. E’ proprio in quell’istante che la valanga assassina è venutà giù travolgendo il resort. “È stato un attimo. Ho messo tutti e due i piedi dentro il locale caldaia, ed è arrivata”. Gli altri tre ragazzi “completamente sommersi. Non li ho nemmeno sentiti gridare. Sono i primi che abbiamo ritrovato, morti. Nella stessa posizione in cui erano quando è arrivata”. “Un fruscio forte, come la neve che cade da un tetto troppo pieno”.
“Gridavo, ma nessuno rispondeva. Ho trovato un martello e ho cominciato a picchiare come un matto sulle inferriate alla finestra. Non so quanto ci ho messo, parecchio comunque. Alla fine le ho spaccate, e sono uscito aggrappandomi al tronco di un faggio che non capivo perché era lì. Poi sono salito sul tetto e l’hotel non c’era più”. Una scena apocalittica quella che si presenta davanti agli occhi di Fabio dove c’era l’edificio ora c’erano solo “tronchi, detriti, massi di neve. Ho cominciato a muovermi in direzione di dove ricordavo fosse la hall, su una spianata di neve sporca. Poi mi sono venuti i brividi: stavo camminando sul tetto dell’hotel”.
Poi Fabio scorge l’altro sopravvissuto alla valanga Giampiero Parete. “L’ho visto che era vicino al ruscello, sprofondato nella neve fino al petto. Sotto choc. L’ho tirato fuori e siamo andati insieme alla sua macchina nel parcheggio al lato del resort. Mi ha detto di aver chiamato il 118, ma non si ricordava se avevano risposto, diceva cose confuse. In macchina abbiamo chiamato i soccorsi”. ma sappiamo benissimo come è andata a finire la storia. la macchina dei soccorsi si è attivata due ore più tardi perché nessuno inizialmente ha creduto all’allarme. I due sopravvissuti passano la notte nell’auto di Parete “per non rimanere congelati, ma preferivamo stare fuori. Avevamo il panico che arrivasse un’altra valanga silenziosa a ucciderci”.
All’arrivo dei primi soccorsi fabio racconta: ‘Ero bagnato fradicio, sono andato a casa per cambiarmi e mi sono fatto riportare lì. Mi sono accorto che infilavano le sonde nei punti sbagliati. Se c’era qualcuno ancora vivo era dall’altra parte. Scavate lì, ho detto, tra il biliardo e il bar”. E’ grazie alle sue indicazioni che hanno ritrovato i quattro bambini. “I loro genitori sono morti, ora sono soli. So che avrei voluto rivedere Linda e che invece l’abbiamo trovata lunedì, cinque giorni dopo”. Linfa era addetta alle camere, alle 15 ha dato una mano in cucina: “Quando è arrivata la valanga, stava lavando i piatti. È morta così”.