Pescara. È attesa per domani, salvo eventuali rinvii, la sentenza di primo grado del processo sulla morte del calciatore del Livorno Piermario Morosini, avvenuta il 14 aprile del 2012 a Pescara. Il giocatore della squadra toscana si accasciò a terra al ventinovesimo minuto del primo tempo, sul terreno di gioco dello stadio Adriatico di Pescara, mentre era in corso l’incontro di calcio tra la squadra abruzzese e quella del Livorno. Dopo una disperata corsa in ambulanza, Morosini morì nell’ospedale civile della città adriatica. Il decesso, secondo quanto accertato dall’autopsia, venne causato da un arresto cardiaco dovuto ad una cardiomiopatia aritmogena. Nel procedimento, in corso davanti al tribunale monocratico di Pescara, sono imputati con l’accusa di omicidio colposo il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, il medico del Pescara Ernesto Sabatini e il medico del 118 Vito Molfese. Il fulcro dell’accusa, rappresentata dal pm Gennaro Varone, ruota attorno al mancato uso del defibrillatore, nonostante al momento dei primi soccorsi ce ne fossero due sul terreno di gioco e un terzo a bordo di un’ambulanza. Nella mattinata di domani, davanti al giudice, Laura D’Arcangelo, si terrà prima l’esame dei tre imputati. Subito dopo il pm Varone sarà impegnato nella sua requisitoria e successivamente prenderanno la parola i legali della parte civile, in rappresentanza della sorella di Morosini e quelli dei responsabili civili, in rappresentanza di Pescara Calcio e Asl di Pescara. Infine sarà il momento delle arringhe difensive degli avvocati dei tre imputati. La sentenza, dunque, dovrebbe arrivare nel tardo pomeriggio di domani, sempre che i tempi della discussione non si dilatino eccessivamente, costringendo il giudice ad un ulteriore rinvio. Secondo quanto emerso durante il processo, sulla base delle testimonianze e dei filmati acquisiti, il giorno della tragedia i primi ad entrare in campo furono i medici sociali delle due squadre, Porcellini e Sabatini, seguiti da un operatore della Croce Rossa con la barella. Dopo due minuti e 40 secondi sopraggiunse il medico del 118 Vito Molfese a bordo di un’ambulanza, il cui ingresso venne ritardato dalla presenza di una vettura della polizia municipale che ostruiva l’accesso. A giudizio del perito della Procura, il medico legale Cristian D’Ovidio, “le linee guida internazionali in questi casi prescrivono l’uso del defibrillatore” e “il medico del 118 Molfese era la persona più qualificata ed esperta, che avrebbe dovuto effettuare la rianimazione di un paziente in arresto cardiaco”. Una tesi rigettata dalla difesa di Molfese, affidata all’ avvocato Alberto Lorenzi, il quale obietta che “non esiste alcuna norma sulla base della quale Molfese sarebbe dovuto intervenire, dal momento che il regolamento della Figc prescrive unicamente ai medici delle squadre di calcio di intervenire sui calciatori che si sentono male e che solo una convenzione tra il 118 e la Pescara Calcio, risultata peraltro essere non operativa e notificata solo quattro mesi dopo la tragedia, chiamerebbe in causa il mio assistito”.
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