Pescara. In occasione del #FLA16, terminato Domenica 13 novembre, ho avuto il piacere e l’onore di incontrare lo scrittore Paolo Zardi. Nato a Padova nel 1970, Zardi è un ingegnere. Ha esordito nel 2008 nel mondo editoriale con un racconto nell’antologia Giovani cosmetici (Sartorio). Successivamente ha pubblicato le raccolte di racconti “Antropometria” (Neo Edizioni, 2010) e “Il giorno che diventammo umani” (Neo Edizioni, 2013), spingendo molti a definirlo il miglior scrittore italiano di racconti vivente. Con il romanzo “XXI Secolo”, pubblicato sempre dalla casa editrice abruzzese Neo Edizioni, è stato finalista al Premio Strega 2015.
Ciao Paolo, sei stato qui al FLA per parlare di “XXI Secolo”, ma è da poco uscito il tuo nuovo libro “La Nuova Bellezza” (Feltrinelli). Parlaci di questo nuovo lavoro.
“La Nuova Bellezza è un racconto lungo, o un romanzo breve; una forma che si attesta intorno alle ottantamila battute. È un genere poco frequentato dagli scrittori perché ha poco mercato editoriale: non è abbastanza corto per essere inserito in un’antologia e non è abbastanza lungo per meritare una pubblicazione in cartaceo, ma per chi scrive ha una lunghezza ideale. Dà grandissime soddisfazioni, perché permette di ampliare storie che nei racconti possono essere solo accennate, e allo stesso tempo non presenta tutti quei vincoli che il romanzo alla lunga impone. È proprio un piacere scrivere storie di quella lunghezza.”
Tornando a “XXI Secolo”, hai detto spesso che nella scrittura di questo romanzo ti sei ispirato ad autori come Martin Amis e Fabio Viola. Io però, da lettore, ho pensato di accostare il suo testo a “Cecità” di Saramago, non per lo stile, molto diverso, né tantomeno per la scelta di non dare un nome al protagonista, quanto piuttosto per il voler narrare la storia da un punto di vista familiare e intimo. Tu come vedi questo collegamento?
“Io di Saramago ho letto solo un libro: “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”. Ho iniziato poi a leggere “Cecità”, perché era un libro che mi interessava, e non ricordo perché non sono andato avanti, infatti è un libro che voglio completare. Poco tempo fa parlavo con qualcuno di “Cecità”, e si diceva che partendo dall’incredibile notizia che la gente sta diventando cieca, da lì in poi la storia diventa privata, riguarda le persone. Questa è sicuramente anche la mia cifra stilistica: quella di parlare delle persone. Non sono un sociologo, non credo nemmeno che la grande letteratura sia mai riuscita a raccontare la realtà senza parlare delle persone. Infatti un libro che dal mio punto di vista ho trovato fallimentare è “La Fattoria degli Animali” di Orwell, perché è un trattato di politica sotto forma di metafora, sembra quasi una favola di Esopo con la morale; le storie delle persone invece servono a trattare degli argomenti che non potrebbero essere affrontati in altro modo. Il centro delle storie sono sempre le persone.”
A parte gli autori che hanno influenzato questo romanzo, quali sono quelli che invece ti hanno cambiato la vita?
“Il mio autore preferito è Philip Roth, di cui ho letto tutto e che continuo a considerare il migliore autore contemporaneo, anche se non più in attività. Sicuramente amo molto Flaubert, che piace molto anche a Roth. Amo Nabokov alla follia, anche se nella parte finale della carriera ha fatto cose non sempre all’altezza. Kundera mi è piaciuto per molto tempo. Poco tempo fa mi sono ritrovato a rileggere “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, che avevo letto da ragazzo, e ho capito che effettivamente mi ha influenzato molto. È stato molto importante per me, anche se me ne ero dimenticato. E poi Amis, e anche Kafka.”
Sei stato finalista al Premio Strega, così come è successo ad altri autori di piccole case editrici. È in atto davvero un’apertura nei confronti dei piccoli editori?
“Il vincitore del Premio Strega riflette quella che è l’editoria italiana attuale con tutti i suoi pesi, dunque è abbastanza naturale che vinca l’editoria italiana più rappresentata. Non è uno scandalo, è come funzionano le cose. La giuria dello Strega non è una giuria di critici letterari, dunque non sceglie il libro migliore, ma è l’espressione dell’editoria: sono scrittori, editori, editor e agenti. Diciamo che l’apertura alla piccola editoria ha fatto comunque un grande regalo a queste piccole realtà, poiché apre una visibilità a certi libri che altrimenti sarebbe impossibile.”
Ormai hai una certa esperienza in ambito editoriale. Cosa puoi consigliare a un aspirante scrittore, a chi desidera fare questo “mestiere”?
“Mestiere non lo si può chiamare, perché comunque si rimane sempre nell’ambito delle passioni. Sicuramente non è semplice essere pubblicati, ma bisogna avere grande passione. Io ho scritto altri romanzi che non sono mai stati pubblicati, ma non mi sono scoraggiato, poiché pubblicare era solo una delle cose che mi interessavano, ma non era il motivo per cui scrivevo. Occorre prima fare chiarezza con se stessi e chiedersi: cosa mi piace fare? Se mi piace scrivere, allora occorre scrivere sempre e continuare a farlo. Se poi arriverà la pubblicazione, allora tanto meglio perché sarà un’esperienza in più. Se invece l’obiettivo è pubblicare soltanto, forse fare lo scrittore non è il tuo vero scopo ed è meglio non farlo. Bisogna domandarsi: io scriverei con la certezza di non essere mai pubblicato? Se sì, insistete sino a trovare un editore; se no, fermatevi prima.”
Hai pubblicato ormai vari libri con la “Neo Edizioni”. Questa casa editrice è forse l’unica degna di tale nome nella nostra regione: realmente valida dal punto di vista narrativo e che si sta distinguendo sul mercato. Come ti sei trovato a lavorare con loro?
“Io benissimo, sia dal punto di vista umano, perché si è creato con gli editori un rapporto che va molto al di là della semplice esperienza, e sia dal punto di vista professionale. C’è un piccolo episodio che secondo me è significativo. A una presentazione Francesco Coscione, l’editore, ha letto un racconto della mia raccolta e non è riuscito a finirlo perché si è commosso, si è messo a piangere leggendo un racconto di un suo autore. Questo fa capire il rapporto che c’è. Non so quanti scrittori possano dire che il loro editore si è commosso leggendo un loro racconto in pubblico. Questa è la differenza: c’è passione.”
Grazie mille e alla prossima.
“Grazie a te! È stato un piacere.”
@AndreaMicalone